- Romin Mandolini
PMBOK® Guide 7th Edition (2021): Un approccio sistemico alla realtà progettuale
Aggiornamento: 18 gen 2022
L’ultima versione della Guida al Project Management Body of Knowledge (PMBOK® Guide) - Seventh Edition (contenente anche lo Standard per il Project Management), segna uno spartiacque importante per la vasta comunità internazionale di professionisti che si occupano di progetti. Da una concezione del passato in cui si pensava di scomporre i fenomeni organizzativi per poi ricondurli all’interno di meccanismi o schematismi fissi caratterizzati da regolarità, ripetibilità, controllabilità, si approda oggi a una visione organica, sistemica, dinamica, aperta, la quale si esplica sul filo delle interrelazioni, connessioni, comunicazioni, interdipendenze interne al progetto e tra quest’ultimo e i contesti di riferimento. Gestione della complessità, reattività, adattabilità e personalizzazione diventano dunque e inevitabilmente le sue parole chiave e gli strumenti, per traguardare il successo.

L’ultima versione della Guida pubblicata dal Project Management Institute nel 2021[1], riveste un carattere di assoluta novità per tutti coloro che, per ragioni diverse, si interessano di progetti. La loro governance, le dinamiche dei contesti dove questi si svolgono e di come queste ne influenzino gli esiti; su come è possibile costruire, attraverso i progetti, valore per le organizzazioni, stakeholder esterni e società civile; sui princìpi che devono guidare, ispirare gli atteggiamenti, la condotta delle diverse professionalità nei loro ruoli; su cosa significhi lavorare in gruppo o esercitare una leadership in ambienti che si trasformano continuamente e che per questo richiedono, sempre maggiori capacità adattative.
È dunque uno strumento indispensabile per tutti quei professionisti che si confrontano con la complessità della realtà progettuale, le sue variabili, gli elementi costitutivi, i sottoinsiemi di attività, insomma tutti quei fattori interrelati e interdipendenti che nel condizionarsi vicendevolmente, inficiano l’andamento e la riuscita di quel sistema o “tutt’uno” che chiamiamo “progetto”. Il Project Management Institute, ancorandosi alla specificità degli ambienti organizzativi odierni, approfondisce con questa edizione le peculiarità di questi ultimi attraverso un’indagine di tipo sistemico, così da aiutare a personalizzare l’approccio secondo i diversi contesti in cui ci si trova a operare.
Una doverosa premessa: che cosa sono i “sistemi” e in che senso i “progetti” lo sono
Chiamiamo sistema “nell’ambito scientifico, qualsiasi oggetto di studio che, pur essendo costituito da diversi elementi, reciprocamente interconnessi e interagenti tra loro o con l’ambiente esterno, reagisce o evolve come un tutto, con proprie leggi generali: un s. fisico, chimico, biologico, economico, ecc.”[2]
Osservati da questo punto di vista, tutte le macchine costruite dall’uomo sono sistemi, lo sono tutti i sistemi sociali, le organizzazioni, le comunità di persone e lo sono anche i progetti. Questi ultimi sono insiemi o pluralità di componenti (umane, economiche, culturali, strumentali, esperienziali, tecnologiche, etc.) correlati, interdipendenti, solidamente uniti per mezzo di relazioni e interazioni (fatte principalmente di comunicazione), che si dispongono sotto una struttura unitaria per realizzare obiettivi comuni.
Riferendoci al libro “Dai sistemi al pensiero sistemico: per capire i sistemi e pensare con i sistemi” del prof. Piero Mella (FrancoAngeli, 1997; pp. 35-36 ), ogni volta che guardiamo a un sistema abbiamo a che fare con questi quattro costituenti:
"Relazioni strutturali. L’ordinamento e i legami che collegano gli elementi per formare un tutto: la struttura.
Organizzazione. Le relazioni stabili di funzione funzionalità e topologiche che danno significato agli elementi indipendentemente dalla loro specificità.
Struttura. Elementi specifici che tramite le relazioni strutturali formano una struttura durevole (visione analitica).
Unità sistema. Struttura durevole di elementi organizzati che viene osservata come unità che presenta caratteristiche emergenti (visione sintetica)."
Alcune riflessioni sull’insieme di queste considerazioni. Innanzitutto la differenziazione tra il concetto di “struttura” e quello di “sistema”. La prima è l’’“entità funzionalmente unitaria risultante dalle relazioni reciproche dei suoi elementi costitutivi”[3]. Il secondo invece è il risultato che “emerge”, affiora da questa unità. Queste proprietà “emergenti” identificano il sistema a dispetto delle caratteristiche che invece contraddistinguono le singole parti che lo formano. L’acqua, ad esempio, è un sistema; la sua struttura molecolare è un composto chimico formato da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, uniti da legami covalenti. Tuttavia quando io ne bevo un bicchiere, osservo un lago di montagna o mi faccio una bella doccia fresca d’estate, essa ha caratteristiche completamente diverse (emergenti) rispetto all’idrogeno o all’ossigeno presi a sé stanti. Non ultimo, il fatto che essa è un liquido mentre l’idrogeno e l’ossigeno sono dei gas.
Inoltre, dobbiamo dire qualcosa anche riguardo l’analisi delle relazioni che costituiscono l’organizzazione del sistema cioè l’assetto organico e funzionale dei suoi elementi. Approfondirne lo studio ci aiuta a comprendere (Mella, 1997; Ibidem, pp. 35-36):
"- quale significato assumono le interazioni tra elementi, cioè la funzionalità di ciascun elemento in relazione agli altri a esso collegati;
- quale significato assumono le relazioni tra elemento e unità, cioè la funzione dell’elemento rispetto al sistema;
- l’ordine spaziale e temporale degli elementi, cioè la loro topologia (…)."
Esaminare invece le relazioni strutturali che disciplinano il rapporto tra l’elemento e la struttura, ci permette di conoscere (Mella, 1997; Ibidem):
"- la specificità, vale a dire, la natura specifica (forma, qualità e quantità) dell’elemento che entra a far parte della struttura, l’ordine e il movimento ammissibili;
- le forme di collegamento, vale a dire i legami, i meccanismi e le forze tramite le quali gli elementi possono essere concretamente ordinati, avvinti e «tenuti assieme» per formare una struttura."
Ora, attraverso il connubio tra il materiale sistematizzato nello Standard di Project Management e quello presente nella Guida, sono stati forniti tutti gli elementi dai quali tentare un’analisi sistemica dei progetti. Essendo l’approccio sistemico, anche il criterio utilizzato per comporre entrambi i documenti, che non forniscono schemi, meccanismi o procedure rigide, oramai retaggio di una forma mentis e di una cultura organizzativa appartenenti a un trapassato remoto, ma delle chiavi per saperne decifrare e approcciare la complessità.
Ragionare in termini di unità-sistema significa rispondere in maniera reattiva e adattiva a ogni variazione, separare le cause dagli effetti e più in generale, contare su una modalità intelligente di far fronte alla composita e intricata molteplicità interna a ogni progetto, senza smarrirsi nei meandri della quantità e variabilità dei fattori che li caratterizzano.
Proviamo a capirci qualcosa di più.
Iniziamo dallo "Standard di Project Management". Questo è composto da tre paragrafi: (a) Uno dedicato all’introduzione; (b) Uno riservato agli aspetti legati alla creazione di “valore” attraverso i progetti, per le organizzazioni, stakeholder, contesto sociale. Infine, l’ultimo, (c) dedicato ai dodici princìpi di Project Management, i quali sono i fondamenti di questa disciplina, i valori con i quali ogni professionista deve forgiare la propria identità. Tra di loro troviamo non solo l’etica ma anche i princìpi basilari di questa cultura professionale.
Specularmente, nella “Guida al Project Management Body of Knowledge”, composta anch’essa da tre sezioni, troviamo gli (a) Otto domini o sotto-sistemi tematici con gli elementi della struttura del sistema-progetto (i dodici princìpi dello Standard trovano la loro applicazione in questi domini). (b) Un capitolo dedicato alla personalizzazione degli approcci, richiesta dalla specificità degli ambiti tematici dei progetti e dai differenti contesti. In ultimo (c) i modelli, gli elaborati comunemente utilizzati e che possono tornare molto utili durante la gestione del progetto. La Guida, a sua volta, è completata dalle informazioni contenute su una piattaforma PMIstandards+TM messa a disposizione dal Project Management Institute, dove è raccolto ulteriore materiale conoscitivo prodotto e condiviso, da tutta la comunità dei Project manager.
Ovviamente visto lo scopo didattico, divulgativo e la mole significativa di informazioni che questi due documenti trattano, essi si presentano sotto forma di compendio. Spetta così a ogni professionista approfondire la natura di tutto questo materiale e colmare, rispetto a esso, i propri gap in termini di conoscenze. Evitando tuttavia di ricadere in un’analisi lineare della realtà progettuale, dove gli argomenti sono considerati a sé stanti e ci si limita ad analizzarli singolarmente ignorando l’insieme. Il terreno sul quale molti professionisti continuano ad arenarsi.
Diciamo questo perché quando in determinate occasioni ci si ritrova riuniti a discutere di progetti e del loro successo, capita ancora troppo frequentemente di ascoltare interventi monocolore che riducono tutto il dibattito nei termini delle migliori prassi o metodologie da applicare. Badate bene, non stiamo dicendo che queste ultime non siano importanti ma stiamo evidenziando un’attitudine a prediligere alcune variabili a discapito di altre e a concentrarsi per questo, spesso sugli effetti piuttosto che sulle cause.
Questa difficoltà non è il risultato di una cattiva volontà sia chiaro, ma di una cultura scientifica prevalentemente riduzionista all’interno della quale tutti noi ci siamo formati. Ragionare in termini sistemici comporta per la persona una diversa interpretazione e definizione del modo di pensare, conoscere, agire e questa a nostro avviso, è precisamente la vera sfida sulla quale ogni professionista deve misurarsi.
Del resto, il metodo scientifico con il quale l’epoca moderna ha approcciato la conoscenza, ci deriva da un paradigma che in Newton e Cartesio trovò due grandi interpreti. Secondo questo modello tutta la realtà, dalla natura all’uomo, poteva essere equiparata a un grande meccanismo scomponibile e dunque riducibile nelle sue singole parti. Dovunque questa mentalità ha posato lo sguardo, ha separato, diviso, ridotto, scorporato, scaglionato, smembrato, disunito, parcellizzato. Dopodiché le “parti” così isolate e limitate, si riteneva potessero vivere sulla scia di schemi, meccanismi e procedure rigide.
Questa mentalità ha partorito diversi figli, tra i quali il famoso Scientific Management di Frederick Taylor (1911) la cui influenza, di là da quello che poi a parole si va professando, è ancora molto evidente all’interno della cultura organizzativa.
Dobbiamo tuttavia essere molto chiari anche a questo riguardo, non stiamo criticando il metodo di indagine di per sé, cui invece dobbiamo tutta la conoscenza di cui oggi disponiamo, ma il fatto di aver trascurato di ricomporre, una volta conosciuta la “parte”, il mosaico attraverso l’incastro dei frammenti in cui l’unità-sistema era stata suddivisa.
Riguardo a queste parti, quando prima abbiamo accennato alle caratteristiche del sistema, abbiamo detto che i sistemi, in quanto unità o totalità di elementi, non si identificano con le caratteristiche che appartengono alle singole entità che li formano, anche se prendono vita, dalla loro correlazione, unione, interdipendenza. Questo significa che è fuorviante, qualora volessimo studiare le caratteristiche del sistema-acqua, per tornare all’esempio di prima, frammentarlo nelle sue parti di idrogeno e ossigeno e studiarle disgiuntamente. Al contrario, dobbiamo individuare una modalità organica se vogliamo approcciarne l’analisi.
Prendiamo il “gruppo di progetto”, che tra l’altro è uno degli otto domini esplicitati nella Guida. Quando si riflette sulle cause della sua produttività, ci si concentra solitamente sui singoli comportamenti organizzativi che caratterizzano le persone quando operano in esso. Si parla così di motivazione, di commitment, di empowerment, di leadership, dell’efficacia delle comunicazioni, di negoziazione e processi decisionali, di ricerca del consenso, etc.. In buona parte degli studi psicologici, lo studio di queste "parti" procede seguendo un approccio lineare. Ci si concentra su ognuna di queste dinamiche e si esplodono fino ad arrivare, dal gruppo, all’unità minima rappresentata dalla singola individualità e ai suoi atteggiamenti, motivazioni, comportamenti. Parimenti quando si parla di individuare soluzioni in questi ambiti, magari perché i membri del gruppo non sono motivati o non comunicano, si interviene limitatamente a questi distretti, dimenticandosi delle altre tessere e dei loro incastri nel grande puzzle-sistema. Tanto che molte volte alcune di queste soluzioni, sono dei palliativi che non risolvono i problemi di fondo che si ripresentano nel gruppo, tali e quali, alla prima occasione.
Guardiamo alla motivazione, molti studi fatti in quest’ambito, dall’approccio economico di Taylor (1911) all’approccio dei bisogni e degli interessi di McGregor con la sua “Teoria Y” (1960) basata sugli studi di Maslow (1943), quella dell’igiene-motivazione di Herzberg (1966), all’approccio sulle differenze individuali di McClelland (1987) insieme a quelle teorie di estrazione cognitiva come la “Teoria dell’aspettativa” di Vroom (1964), o la “Teoria del Goal Setting” di Locke e Latham (1990) hanno indagato questa tematica dal punto di vista del singolo, con uno scarso riferimento ai processi invece legati ai comportamenti di gruppo. Guardando al singolo, lì hanno concentrato le loro soluzioni [4].
Anche sulla leadership la questione si è posta su per giù nello stesso modo. Ne abbiamo approfondito i termini in questo nostro articolo per cui eviteremo di ripeterci. In sostanza la maggioranza degli approcci seguiti hanno, anche se in maniera differente, ancora una volta centrato le proprie analisi sulla personalità del singolo individuo-leader riservando al gruppo, sotto molti punti di vista, un ruolo del tutto marginale (in alcuni casi addirittura inesistente).
Abbiamo però detto che la conoscenza del sistema-gruppo-di-lavoro non si ottiene nell’isolare le sue singole parti per poi analizzarle individualmente, ma al contrario cercando di comprendere: il significato che assume la relazione tra il singolo individuo e l’entità-collegiale-gruppo (funzione); cosa scaturisce da questo legame attraverso la sua aderenza e partecipazione al gruppo (funzionalità); come il singolo individuo si posiziona in termini di ruoli, status (topologia); quali sono le caratteristiche che questo deve possedere (specificità) e soprattutto, da dove deriva la forza che li tiene tutti assieme. Motivo per il quale indagando questi aspetti, implicitamente, si otterranno “i perché” e “i come” a tutte le nostre domande precedenti. Senza, sia chiaro, omettere di considerare le conoscenze che le varie teorie hanno reso disponibili, ma integrandole in una visione di più ampio respiro.
Per restare su questo esempio, nel nostro ultimo libro, proprio guardando al sistema-gruppo-di lavoro, abbiamo fornito molte risposte al riguardo indagando la natura e la formazione dell’identità sociale condivisa. L’anello di congiunzione tra l’io e il noi. Ne abbiamo accennato qualcosa al riguardo in questo nostro articolo e in quest’altro (ma ci siamo riproposti di riparlarne ancora).
Come lo psicologo S.Alexander Haslam nel suo “Psicologia delle organizzazioni” (2004, Apogeo) ha abbondantemente dimostrato, adottando il punto di vista offerto da due importantissime teorie psicosociali la “Teoria dell’identità sociale” (Tajfel e Turner, 1979; 1986) e la “Teoria dell’auto-categorizzazione” (Turner 1985; Turner et al., 1987), l’identità sociale condivisa è il minimo comune multiplo che sottostà al concetto stesso di gruppo e alla tipicità dei comportamenti che le persone assumono quando, categorizzando se stessi come “noi”, ne fanno parte.
Nell’imponente rassegna di studi psicologici che Haslam ha riunito, appare in maniera evidente che quando questa identità è attiva, le persone cessano di preoccuparsi di se stesse, si prendono a cuore il bene del proprio gruppo anche a discapito dei propri interessi e sono spontaneamente motivate a: comunicare efficacemente, convergere verso soluzioni condivise, ripartire in maniera equa il lavoro che li attende, migliorare la propria autostima attraverso il raggiungimento degli obiettivi condivisi, aumentare la propria resistenza allo stress, riunirsi intorno a una leadership e al suo potere (che dipende sempre da questo meccanismo).
Cosicché, quando mi troverò a individuare dei metodi per ovviare alla scarsa motivazione delle persone del gruppo di lavoro che sto gestendo, seguendo un approccio lineare, un buon modo per risolvere questo problema potrà essere, di là dalla causa della demotivazione, quello di introdurre premi o sanzioni. Facendo leva sull’interesse personale del singolo (gratificandolo o sanzionandolo) è difatti possibile incentivarlo ad adottare il comportamento desiderato. La domanda fondamentale però che ci dobbiamo porre è, qualora l’incentivo funzionasse, “per quanto tempo riusciremo”? Senza pensare che in alcuni casi si aprono nuovi fronti conflittuali, esacerbando il problema.
L’approccio sistemico invece guarda al singolo ma all’interno delle dinamiche di gruppo, affronta il tema della scarsa motivazione da un altro punto di vista. Se i comportamenti organizzativi dipendono dal grado di identificazione che il singolo manifesta con l’identità sociale condivisa dal gruppo, è su ciò che ne impedisce o favorisce la formazione che bisogna portare la nostra attenzione se vogliamo capire qualcosa di più su questi comportamenti. Aiutati dalle analisi delle diverse relazioni che si stabiliscono proprio tra princìpi e domini, Standard e Guida, possiamo risalire alle cause ostative e da lì intervenire in maniera risolutiva. Ad esempio, sempre prendendo a riferimento la scarsa motivazione dei membri, potrebbero emergere problemi sul piano etico di cui non ci eravamo resi conto, magari condizioni che involontariamente hanno favorito alcuni membri e penalizzato altri. Oppure una scarsa condivisione delle informazioni da parte di certi membri (magari per mantenere il loro stato di esperti) che ha impedito ad altri di partecipare attivamente alla vita del gruppo. Altrimenti potrebbe emergere una rigidità mentale che impedisce ai membri del gruppo di adattarsi a quanto richiesto loro in quel momento specifico dal lavoro di progetto, viceversa si potrebbe rintracciarne la causa in un esercizio, improprio e autoritario della leadership da parte di qualche membro a danno di altri.
Insomma, guardando al gruppo-sistema come unità-noi e (1) alla qualità e natura delle relazionali/interazioni che si creano tra il singolo individuo e gli altri membri del gruppo (e parimenti con i membri di altri gruppi), insieme (2) alle dinamiche che permettono a un insieme di individui di sentirsi parte o meno, dello stesso gruppo (scandagliando le relazioni, i legami che si vengono a creare tra identità psicologica e identità sociale, singolo e gruppo) è possibile dedurre implicitamente informazioni che ci permettono: (a) non solo di monitorare il grado di motivazione, di commitment, di empowerment, di leadership, di efficacia delle comunicazioni, etc. ancora prima ancora che sorgano problemi in questi distretti ma (b), guidare queste dinamiche verso i risultati auspicati.
Il che spiega bene quale compito davvero spetti al professionista che voglia approcciare lo studio di questa nuova edizione attraverso il pensiero sistemico e altresì, il motivo per cui quest'ultimo è ricordato tra i dodici princìpi contenuti nello Standard.
Riteniamo che la portata innovativa di questa settima edizione sia nell’aver sistematizzato (nella sua forma e nella sua sostanza), un cambiamento culturale che mentre riscrive l’identità di questa professione chiede ad ognuno di farsene interprete anche attraverso una nuova modalità di approcciarne lo studio. In ballo non c’è solo il futuro dei progetti e la loro riuscita o il successo professionale di ognuno, ma la riforma di un’intera società e della sua dirigenza. Poiché una visione frammentata estesa alla realtà sociale e alle sue stratificazioni, era inevitabile portasse alcune di queste “parti” a rivendicare la propria superiorità o il proprio tornaconto, su quello delle altri "parti". Il che ci porta a ribadire l’importanza di quanto nel nostro libro scrivevamo:
“….riformare un paradigma culturale che ha preferito la competizione alla collaborazione, il conflitto all’accordo, il bene di una categoria di esseri a scapito di tutti gli altri, la felicità di pochi sulla pelle dei molti. Questa trasformazione passerebbe attraverso un nuovo modo di concepire la leadership e una nuova classe dirigente che se ne faccia interprete, capace di bilanciare e coniugare lo sviluppo personale e il benessere collettivo, l’azione sociale con l’etica, i successi imprenditoriali con la creazione di valore per tutti, il proprio tornaconto con la responsabilità sociale, i diritti con i doveri, la ricchezza personale con l’equità, la competenza con la benevolenza, gli attributi dei ruoli con la credibilità. Una nuova classe dirigente provvista di pensiero sistemico e quindi incapace di perdere di vista i legami che in quanto parte vanta, con la totalità cui appartiene.”[5].
Infine, prima di concludere, ancora poche parole sulla nuova figura del Project manager.
In passato questa dicitura coincideva con una precisa figura professionale dalla connotazione chiara, precisa, granitica. Era il fulcro dell’attività progettuale e su lui si accentravano, una serie considerevole di responsabilità. Oggi invece questa dicitura raccoglie sotto di sé una serie più variegata e sfumata di ruoli i quali variano, in funzione dell’approccio o della metodologia utilizzata per condurre il progetto. Pensiamo solo all’Agile, dove la leadership solitamente non è più concentrata su una sola figura ma si distribuisce sui vari ruoli. Se tutto questo è vero, non possiamo tuttavia negare che anche in quest'ultimo, spesso i migliori Product Owner si ritrovano in coloro che hanno avuto una passata esperienza e formazione da Project manager, pur adattata ai cambiamenti imposti dalle trasformazioni degli ambienti organizzativi odierni. Inoltre, in progetti di una media o alta complessità, ci si ritrova spesso con la necessità di prevedere figure forti di coordinamento e quindi a dotare il progetto di uno o più Project manager.
Tutto questo per dire che il timore che alcuni ambienti professionali dimostrano, nel pronunciare anche solo la parola Project manager, l’esorcizzarla come se richiamasse una mentalità accentratrice, chiusa, rigida da cui tutti oggi vogliono prendere distanza è un atteggiamento che dovrebbe essere ripensato.
Non si può, come al solito, buttar via il bambino insieme all’acqua sporca.
Essere Project manager significava, anche in passato, l’obbligarsi a una ginnastica mentale che costringeva a tenere conto di tutti i livelli, gli elementi, i fattori e le relazioni presenti nell’ambito progettuale. Oggi, ovviamente, nelle nuove pratiche Agile il lavorare in maniera incrementale, iterativo o adattivo impone nuove modalità di gestione e organizzazione delle conoscenze. Il particolare di ciò che si sta realizzando si va definendo via via, in funzione dei continui e sempre più approfonditi confronti tra i team di progetto, tra questi e il cliente. In passato invece, si iniziavano le attività progettuali quando tutto era stato già deciso, blindato a livello di requisiti. Inoltre, a livello di organizzazione, la frammentazione delle identità professionali cui spesso i lavoratori sono obbligati per affrontare le riorganizzazioni e le riconversioni oramai all’ordine del giorno, rendono pressoché impossibile immaginare una figura granitica che raccolga in sé tutto il know how richiesto, che invece ritroviamo distribuito su più persone. Tuttavia, resta intatta la necessità di far convivere il “particolare” con l’“insieme” di cui questo è parte, il che obbliga le tante professionalità che lavorano nell’ambito del progetto a guardare al loro futuro preservando cosa c’era di buono nel loro passato. Che a nostro avviso, è lo spirito con cui il Project Management Institute ha operato realizzando questa versione aggiornata del documento.
Note:
[1] Guide to the Project Management Body of Knowledge 7th Edition (2021), Project Management Institute;
[2] Da: https://www.treccani.it/vocabolario/struttura/
[3] Da: https://www.treccani.it/vocabolario/sistema/
[4] S.Alexander Haslam (2004), “Psicologia delle organizzazioni”, Capitolo 4, APOGEO
[5] R.Mandolini (2021). “Project management. Fondamenti psicosociologici di leadership e comunicazione nella gestione dei gruppi di lavoro. Nuove risposte a vecchi quesiti”, Youcanprint
Bibliografia consigliata:
S. Barile (2008). “L’impresa come sistema”, Giappicchelli
S. Barile (2009). “Management sistemico vitale”. Vol. 1 e Vol. 2, Giappicchelli
P. Mella (2014). “Teoria del controllo. Dal systems thinking ai sistemi di controllo”, FrancoAngeli
P. Mella (2014). “Systems Thinking: Intelligence in Action”, Springer, Gruppo24ore
P. Mella (2007). “Guida al Systems thinking. Imparare e applicare il pensiero sistemico per migliorare l'intelligenza e gestire meglio la propria attività”, Il Sole 24 Ore
V. D’Amato, E. Tosca (2016). “Pensiero sistemico & management innovation”, FrancoAngeli