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  • Romina Mandolini

Una regola aurea: parlare per immagini

Aggiornamento: 7 feb 2022

Come si possono veicolare concetti anche complessi in maniera semplice e coinvolgente? Proponiamo una riflessione su un tema chiave della comunicazione.



Immagini che comunicano significati in maniera efficace e coinvolgente

Un filone di studi in ambito cognitivo, sostiene che la nostra mente e quindi il nostro pensiero operi in via preferenziale per immagini mentali (informazioni figurali) piuttosto che per proposizioni[1] e l’immaginazione, i nostri ricordi e perché no, i nostri sogni aggiungiamo noi con le loro scenografie filmiche, sarebbero la testimonianza di questa evidenza. La mente, per dirla in parole semplici, funzionerebbe come un grande occhio.

Questo non significa che essa non elabori anche contenuti non figurali (tipo concettualizzazioni, idee, nozioni, negazioni, affermazioni, etc.), al contrario entrambi fanno parte di quelle attività neuromentali di tipo noologico che hanno a che fare con il funzionamento e l’organizzazione del nostro pensiero. Tuttavia il privilegio riservato alle immagini, spiega bene il perché da un punto di vista comunicativo esse siano così potenti e immediate. Da cui l’uso e abuso che se ne fa, in questa che a tutti gli effetti è la società dell’immagine.


Quando leggiamo un libro o ascoltiamo qualcuno che ci racconta qualcosa, la nostra immaginazione trasforma quelle parole in figure. Ugualmente per inventare o progettare qualcosa di nuovo, dobbiamo passare per il suo disegno. Allo stesso modo se io chiedessi a te che leggi di descrivermi seduta stante il volto di una persona a te cara, è dal richiamare alla mente il volto di questa persona che inizieresti il tuo racconto. Nominare le cose, serve anche ad evocarle.


É dunque facile comprendere “il perché” dell’abbondanza di immagini contenute nei libri dei bambini che stanno imparando a parlare, leggere, scrivere e il perché quando si vogliono fornire tante informazioni ma si ha poco spazio e tempo, come capita negli spot pubblicitari, alla parola si affianca sempre l’immagine. Quest’ultima ha il potere di catturare immediatamente l’attenzione di chi guarda e le parole, di concentrarla[2]. Chiunque operi all’interno delle organizzazioni, specie in ambito monitoraggio e controllo di gestione, sa bene l’importanza di utilizzare diagrammi di gantt, grafici, istogrammi. Questi elementi figurali forniscono una vista istantanea, rapida, puntuale, sintetica dell’andamento di un fenomeno attraverso la sua rappresentazione; informazioni che avrebbero richiesto ore e ore di spiegazioni verbali. Il che non esclude, in sede di analisi, la facoltà di commentare quella tendenza e la sua evoluzione attraverso il linguaggio parlato.


Nella nostra mente le proposizioni (conetti, nozioni, etc.) e le immagini figurali hanno, difatti, un legame viscerale. Entrambe sono la rappresentazione mentale di “qualcosa” [3] con cui entriamo in contatto (un’esperienza, una notizia, un evento, una persona, etc. etc.) e si integrano con le nostre competenze verbali, grazie alle quali possiamo riflettere, spiegare, dettagliare meglio le informazioni che vogliamo condividere.


Questa è una premessa che tutti coloro che vogliono sviluppare competenze comunicative, di là dal loro ruolo, debbono tenere sempre a mente. Sia se stiamo parlando con nostro figlio, sia che stiamo in aula davanti a degli studenti, oppure impegnati ad argomentare una tesi in una riunione in ufficio o tenendo una conferenza, scrivendo un discorso, motivando il nostro gruppo. Insomma, qualunque sia la situazione comunicativa in cui siamo coinvolti, è possibile sfruttare a nostro favore questo meccanismo evocando in chi ci ascolta, immagini.


Proviamo con un classico, un esempio esplicito, tratto dal famoso discorso “I have a dream”. Tenuto nel 1963 a Washington, da Martin Luther King al termine della marcia sui diritti civili. Eccone uno stralcio:


Sono passati cento anni, e i neri vivono in un’isola solitaria di povertà, in mezzo a un immenso oceano di benessere materiale. Sono passati cento anni, e i neri ancora languiscono negli angoli della società americana, si ritrovano esuli nella propria terra. Quindi oggi siamo venuti qui per tratteggiare a tinte forti una situazione vergognosa. In un certo senso, siamo venuti nella capitale del nostro paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della nostra repubblica hanno scritto le magnifiche parole della Costituzione e della Dichiarazione d’indipendenza, hanno firmato un “pagherò” di cui ciascun americano era destinato a ereditare la titolarità. Il “pagherò” conteneva la promessa che a tutti gli uomini, sì, ai neri come ai bianchi, sarebbero stati garantiti questi diritti inalienabili: “Vita, libertà e ricerca della felicità”.


Oggi appare evidente che per quanto riguarda i cittadini americani di colore, l’America ha mancato di onorare il suo impegno debitorio. Invece di adempiere a questo sacro dovere, l’America ha dato al popolo nero un assegno a vuoto, un assegno che é tornato indietro, con la scritta “copertura insufficiente”. Ma noi ci rifiutiamo di credere che la banca della giustizia sia in fallimento. Ci rifiutiamo di credere che nei grandi caveau di opportunità di questo paese non vi siano fondi sufficienti. E quindi siamo venuti a incassarlo, questo assegno, l’assegno che offre, a chi le richiede, la ricchezza della libertà e la garanzia della giustizia. Siamo venuti in questo luogo consacrato anche per ricordare all’America l’infuocata urgenza dell’oggi. [4]


É evidente la potenza di una comunicazione che attraverso l’utilizzo di diverse figure retoriche, opera per sintesi e immediatezza attraverso immagini figurali (es. l’isola, l’oceano, gli architetti della repubblica, l’assegno, il caveau). Incastonando il tutto all’interno di una narrazione molto potente che è quella del riscatto di una minoranza, vessata moralmente e fisicamente.


Leggiamo questo altro passaggio:


L’afosa estate della legittima insoddisfazione dei negri non finirà finché non saremo entrati nel frizzante autunno della libertà e dell’uguaglianza. Il 1963 non è una fine, è un principio.


Proviamo con un altro esempio, sempre su questa stessa scia. Questa volta l’autore è Zygmunt Bauman, il grande sociologo, e questi sotto sono due brevi stralci tratti dal suo libro “Modernità liquida” (Laterza):


C’è quindi una forte domanda di singole grucce su cui gli atterriti individui possano appendere collettivamente, anche se per breve tempo, le loro paure individuali. (pag. 32)


E ancora:


Così è il continuare a correre, la gratificante consapevolezza di partecipare alla gara, che diventa la vera assuefazione, non il premio per quanti potrebbero tagliare il traguardo. Nessuno dei premi in palio è abbastanza seducente da togliere attrattiva agli altri, e il numero di premi attraenti e seducenti è così alto perché non sono stati ancora (sempre ancora, disperatamente ancora) conquistati e goduti. Il desiderio diventa un obiettivo fine a se stesso, l’unico obiettivo incontestato e incontestabile. (pag. 75)


Nel primo frammento si parla degli appigli cui le persone si aggrappano per far fronte all’insicurezza, alla precarietà tipiche di questa nostra epoca. Anche in questo caso l’immagine delle “grucce” è estremamente semplice e al tempo stesso chiara da un punto di vista comunicativo, rispetto a quello che l’autore sta suggerendo. Parimenti nel secondo stralcio, dove invece si parla del nostro rincorrere le tante voci illusorie di una società che ammalia con la chimera del consumismo e di una vita priva di preoccupazioni. La similitudine con la gara e i suoi premi, ci restituisce per intero l’alienazione, la frustrazione di chi è vittima di quel miraggio e attraverso l’acquisto ricorrente, rincorre la sua illusione di felicità.


Ovviamente potremmo presentare una serie pressoché interminabile di ulteriori citazioni, tratte da altrettanti contesti narrativi diversi: canzoni, poesie, discorsi di politici, proverbi, frasi famose. Nel caso specifico abbiamo chiamato in causa analogie, similitudini, metafore, molto utili anche nella comunicazione interpersonale.


Se dovete spiegare a un vostro collaboratore l’essenza del lavoro di squadra e questa persona è un’amante del calcio o di uno sport di squadra, parlare attraverso la similitudine calcistica vi aiuta a trasferire il vostro messaggio in maniera chiara e comprensibile. Se la persona che avete davanti ama la cucina, lo stesso significato può essere utilizzato attraverso l’analogia con la preparazione di una ricetta (in questo esempio che proponiamo, ci è tornato utile per spiegare la realtà progettuale). Se invece sapete che è un genitore apprensivo, potete utilizzare la metafora della famiglia o fare delle similitudini con l’organizzazione della vita familiare e quella di un gruppo di lavoro.


Insomma, largo spazio alla nostra creatività ma tenendo sempre a mente una delle regole principali su cui poggia la comunicazione: l’obbligo di conoscere il nostro interlocutore (ne abbiamo parlato qui).


Le figure del discorso citate poc’anzi (metafora, similitudine, etc.) non sono ovviamente le sole disponibili. Il parlare figurato annovera una serie innumerevole di figure e queste, prese nel loro insieme, sono strumenti sistematizzati all’interno di quell’arte oratoria chiamata retorica. Nel caso specifico, appartengono all’“ornatus” (“ornamento”), una delle sezioni del discorso secondo lo schema classico[5]. Erano considerate in effetti qualcosa che adornava, conferiva “luce”, “colore” al discorso e l’ornatus era organizzato intorno alle differenti tipologie contemplate, come i “tropi” e le “figure” (“di parola” e “di pensiero”[6] o “di suono” e di “significato” [7]), insieme alle regole di combinazione di queste stesse.


In calce all’articolo abbiamo riportato testi sui quali approfondire questi meccanismi stilistici, anche in funzione della loro estensione (consideri il lettore che solo di “figure” se ne annoverano circa 200-300). Abbiamo trovato in rete anche questo efficace e utile documento di semplice consultazione, con annoverate le principali. In linea generale i “tropi” propriamente detti, sono dei congegni stilistici contrassegnati dal trasferimento di significato da un’espressione ad un’altra. La metafora è la regina indiscussa di questo meccanismo, cui però si accompagnano l’allegoria, l’ironia, l’ossimoro, la metonimia, la sineddoche, la similitudine, etc.. Nelle “figure” invece si opera a livello di disposizione delle parole nel testo e sull’effetto che questa provoca, in funzione della loro ripetizione, del loro suono o del loro significato.

Perfezionare le proprie conoscenze su questi dispositivi del linguaggio parlato, ci aiuta a giocare con le parole per raffigurare, evidenziare, semplificare, arrivare subito a chi ci ascolta, rendere comprensibili cose che in astratto non lo sarebbero affatto, stimolare l’attenzione dell’altro, aggirare chiusure o dinieghi, sdrammatizzare (pensate all’ironia) situazioni gravose o imbarazzanti creando aperture insperate.


Esse sono uno strumento incredibile per aiutare chi ci ascolta a comprendere facilmente quello che vorremmo condividere e facendo questo, ancorarci al loro immaginario.


Chi guida gruppi, di là che ne sia il leader o meno, comunica per una serie di motivi diversi. Motivare le persone è solo uno di questi, poi c’è il coinvolgerle, il persuaderle a farsi oggetto della sua azione aderendo profondamente alla sua visione e alla sua missione. Dirimere conflitti e negoziare una soluzione tra interessi, punti di vista differenti. Argomentare, parlare in pubblico. Fare riunioni per aggiornare, formare, informare i membri del gruppo o altri stakeholder collegati agli scopi del gruppo. Colloquiare le persone. Costruire, rinsaldare le relazioni (anche perché le competenze comunicative si sviluppano proprio attraverso queste ultime).


Ebbene se il condividere un’identità sociale comune ci facilita poiché ci offre da questo punto di vista, tutta una serie di vantaggi come ad esempio la conoscenza degli interlocutori, attraverso il materiale identitario condiviso (valori, scopi, pratiche) cui ancorare le nostre comunicazioni e una sorta di motivazione, apertura o predisposizione da parte dei membri del gruppo ad ascoltarci, è pur vero che dobbiamo divenire sempre più abili nel comunicare in maniera semplice, diretta, chiara e coinvolgente i nostri contenuti. Riscoprendo, in un epoca che della brevità di un tweet ha fatto la sua misura stilistica, il valore e il potere dell’immediatezza di questi dispositivi, insieme alla grandezza della nostra lingua.





Note:


[1] Per chi interessato all’argomento si legga il testo scientifico Bianca M. (2009). La mente immaginale. FrancoAngeli

[2] Cfr Testa A. (2009). La parola Immaginata. Il Saggiatore

[3] Per chi interessato ad approfondire come ci rappresentiamo la conoscenza, si legga il nostro libro Mandolini R. (2021). Project Management. Fondamenti psicosociologici di leadership e Comunicazione, nella gestione dei gruppi di lavoro. Youcanprint

[4] di Martin Luther King tratto dal famoso discorso “I have a dream”.

Da https://www.corriere.it/cronache/20_agosto_28/i-have-dream-discorso-integrale-martin-luther-king-28-agosto-1963-2fa195ba-e8ff-11ea-a9ca-79a6b2bfb572.shtml [ultima visita 7/12/2021]

[5] Mortara Garavelli B. (2011). Prima lezione di retorica. Edizioni Laterza;

[6] Mortara Garavelli B. (2010). Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche. Edizioni Laterza, p.4;

[7] Tarabbia A. (2019). Parlare per immagini. Le figure retoriche nella comunicazione. Zanichelli; Ghiazza S., Napoli M. (2007). Le figure retoriche: parola e immagine. Zanichelli;


Un altro elenco PDF delle principali figure retoriche è disponibile sul sito:

http://eventi.centrostudicampostrini.it/media/archive/161006-1600-schema_figure_retoriche.pdf



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