- Romina Mandolini
Leadership: uno, nessuno e centomila
Aggiornamento: 30 dic 2021
Il potere di una leadership si misura in termini di influenza e carisma. Entrambi sono il prodotto del grado di aderenza del leader all’identità sociale condivisa del suo gruppo e della sua capacità di farsene interprete. Manifestare questo potere, dunque, comporta comprenderne a fondo le dinamiche.

Prima di cominciare a leggere l’articolo è bene che il lettore sappia che quello a seguire è il secondo di una serie composta da tre articoli introduttivi al tema della leadership. Questo dunque andrebbe letto in sequenza con gli altri due o comunque in concomitanza. Gli articoli sono: (1) “Essere leader: rivoluzionare l’approccio”; (2) “Leadership: uno, nessuno e centomila”; (3) “La costruzione di una leadership”
L’Antropologia culturale (bastasse qui citare tutto il lavoro dell’italiano Francesco Remotti) al pari della Sociologia (si pensi alle speculazioni di Erving Goffman), insieme alla Psicologia (con i lavori di Henri Tajfel e John C. Turner) e perché no, le Neuroscienze con gli studi di Vittorio Gallese sull’intersoggettività, insieme ovviamente a molti altri autori e discipline, hanno studiato e approfondito il dibattito su questa “cartina al tornasole” dell’umano. Dove c’è l’umanità si pone il problema della sua identità, o meglio, della sua ricerca e costruzione. Questo perché l’individuo risponde a un’esigenza imprescindibile, consustanziale al suo stesso essere al mondo: comprendere se stesso, rispondendo alla domanda “che cosa è che sono”.
Abbiamo usato il termine “costruzione” non a caso. Le culture all’interno delle quali veniamo educati e ci sviluppiamo come individui, con i loro valori e modelli di pensiero, ci forniscono il materiale con il quale fabbricare questi nostri edifici identitari. Così per esprimere “cosa siamo” ci serviamo di identità sociali multiple, legate ai ruoli che interpretiamo durante i diversi momenti della nostra giornata (sono un padre, una madre, un’italiana, una manager, un tifoso, un’avvocatessa, un ballerino, una cattolica, etc. ), i quali ci derivano dai gruppi sociali con i quali ci identifichiamo (famiglia, nazione, squadra di calcio, categorie professionali, gruppi religiosi, etc.). Il tutto, affiancato da un’identità personale che si manifesta quando diventano invece salienti, aspetti legati al carattere o alla nostra personalità (es. sono un introverso, una persona sensibile, irascibile, etc.).
Rapporto tra natura umana e identità
Contrariamente agli altri animali, i comportamenti umani non sono inscritti all’interno del nostro patrimonio genetico. Negli animali invece, questi sono innati e si organizzano intorno a schemi fissi di comportamento – rintracciabili ad esempio in tutti gli appartenenti alla stessa specie. Non che negli individui non esistano comportamenti innati, ma non c’è in essi nulla di così predeterminato che possa essere, anche lontanamente, paragonato ai primi. Al punto che gli esseri umani restano, per molti aspetti, sostanzialmente imprevedibili.
Questa particolarità che caratterizza l’unicità della nostra specie e che sotto certi punti di vista può essere considerata una mancanza, ci spinge a rintracciare in “un altrove” elementi a guida del nostro agire. In effetti, non nasciamo con allegato il libretto delle istruzioni con il corredo delle regole da seguire, la descrizione dettagliata delle nostre caratteristiche, il nostro funzionamento e gli scopi per i quali siamo venuti al mondo. In questo senso le “culture”, assolvono a questo preciso compito.
Queste sono insiemi sistematizzati di valori, conoscenze, credenze, simboli, rituali, norme, ruoli, scopi, i quali danno vita a modelli di pensiero quali filosofie, ontologie, religioni, scienze e le società con le loro istituzioni, organizzazioni, etc.. È nell’aderenza a questi modelli che ognuno di noi trova il suo completamento, nel senso che ogni cultura è in grado di fornire delle spiegazioni su ciò che ci circonda e sul senso della nostra esistenza. “Significati” arbitrari condivisi da una comunità che il nostro sistema cognitivo elabora, così da organizzare intorno ad essi il nostro pensiero, atteggiamenti e strategie di comportamento. Questi hanno attinenze con l’uomo e con il suo essere parte integrante di una società e non hanno solo a che fare con il vivere umano organizzato, ma lo guidano, lo significano, lo determinano si pongono a fondamenta del nostro modo di pensare e agire. In tutto questo svolgono un ruolo prioritario, le dinamiche legate all’influenza sociale che ciascun membro esercita sull’altro, il consenso o il dissenso che si produce e da cui derivano riconoscibilità e differenziazione.
Le culture, in parole povere, sono gli innumerevoli tessuti che l’uomo tesse e che poi utilizza per cucire i propri numerosi abiti, vale a dire le sue diverse identità, che indossa e che cambia durante la giornata a seconda delle situazioni in cui si trova, il clima, le stagioni e le mode del momento. Così rivestito ha modo di occultare, proteggere la propria nudità ontologica e anche se in modo insoddisfacente [1], riesce a dare una forma alla propria umanità. Ciò è possibile perché all’interno di ogni cultura, ci sono significati che ci spiegano “che cosa è” e “il valore che assume”: la vita, la morte, la malattia, l’essere uomini, l’essere donne, l’essere membro di un’organizzazione sociale, l’essere ai margini di una società, farne parte, etc.. In questo senso ogni cultura, non è considerata un soprappiù che si aggiunge alle caratteristiche di cui è dotata la natura umana, ma è essa stessa che va a definire, specificare, indicare, che cosa quest’ultima è (ovviamente all’interno di una data cornice culturale). Non si tratta di squalificarne l’aspetto biologico, ma di prendere atto del fatto che sono queste nostre rappresentazioni mentali a rivelarci il senso che socialmente, dunque CULTURALMENTE, la nostra natura e aspetti dell’esperienza sensibile vanno ad assumere.
Come nasce un’identità sociale?
Rispondere a questa domanda significa ammettere che la nostra esistenza personale, in realtà non è altro che vita sociale.
Un paradigma molto radicato nella prima psicologia, affermava che tutto ciò che caratterizzava un individuo (concepito come entità isolata dalle altre) era un prodotto di processi psicologici tutti interni alla persona. Come se gli altri e la realtà sociale in cui gli individui operano, non avessero un ruolo. Su un’altra sponda, quella filosofica, l’individualismo e le sue tante maschere sembrava rivelare il segreto del successo di società e organizzazioni: il valore dei singoli con i loro trionfi. A tal proposito, in economia, il liberismo ne rivendicava la libera iniziativa fino ad arrivare a favorire l’assolutismo dei poteri privati. L’effetto di tutti questi paradigmi è stato, l’asserragliamento del singolo in un egocentrismo autoreferenziale che lo ha alienato ed esiliato in una dimensione asfittica priva di affettività.
La realtà invece è che le nostre società non sono composte da singoli individui isolati gli uni dagli altri ma da insiemi di persone strettamente interrelate e interdipendenti le une dalle altre. Sviluppiamo competenze che apprendiamo principalmente, tramite processi di emulazione e reciproca influenza. I singoli trasformano, è vero, la realtà in cui operano ma sempre attraverso i gruppi di cui, volenti o nolenti, consapevolmente o inconsapevolmente, fanno parte e la struttura portante di ogni società, come di ogni sua organizzazione (piccola o grande che sia) è disegnata sulle reti di relazioni, che queste interdipendenze realizzano. Infine, se anche lo volessimo, non potremmo mai essere entità separate, poiché siamo immersi in un flusso circolare continuo di comunicazioni (anche quando restiamo in silenzio), che si snodano attraverso incessanti scambi continuativi e reciproci. Questo è il motivo per cui un’azione irresponsabile ha effetti importanti non solo nella vita di chi la compie ma nella sua famiglia, nei gruppi di amici che frequenta, nell’azienda dove presta servizio e a volte, in un’intera nazione. Non è un caso che oggigiorno, davanti ai fallimenti evidenti di questa società, in molti ambiti professionali si è tornati a parlare con insistenza dell’importanza del pensiero sistemico. Che nel valorizzare la parte, mai dimentica l’insieme in cui questa si inserisce.
Ogni gruppo sociale (famiglia, gruppi di amici, partiti politici, aziende, categorie professionali, nazioni, etc.) è identificato attraverso dei tratti specifici (valori, partiche, ruoli, scopi, etc.) che accomunano le persone che vi aderiscono. L’identità sociale dei singoli membri, si struttura su questi attributi in virtù della loro appartenenza.
Quello che in termini tecnici si verifica è una sorta di stereotipizzazione del sé, poiché la persona piuttosto che muoversi come “io psicologico” si muove, agisce, pensa, parla, come “membro” delle categorie cui appartiene. Esempio, sono un podista, utilizzo un determinato gergo tecnico per comunicare con coloro con cui condivido questa passione (ripetute, fartlek, progressivi, variazioni di carico, etc.). Le mie routine, necessarie per la mia preparazione atletica, mi costringono a pensare e programmare la mia settimana, dotandomi degli indumenti appropriati (es. scarpe diverse in funzione delle caratteristiche dei terreni) e degli strumenti più idonei (es. cardiofrequenzimetri, integratori, etc.). Quest’appartenenza mi fornisce anche degli scopi, quali ad esempio migliorare le mie prestazioni e delle forti motivazioni, così da condizionare i miei atteggiamenti e comportamenti in termini di disciplina psicofisica che mi costringe a dedicare particolare attenzione alla qualità e quantità di cibo, sonno, riposo e allenamenti. Inoltre mentre adotto queste pratiche (gergo, scopi, abiti, routine, strumenti, etc.) divento riconoscibile per tutti coloro che come me, sono podisti. Anche se non li conosco o frequento e al tempo stesso, sono distinguibile da chi ad esempio pratica il ciclismo.
Si tratta ovviamente di un banale esempio, ma se lo moltiplichiamo per l’intera gamma delle diverse identità sociali di cui ci serviamo ogni momento della giornata ci accorgeremmo che continuamente guardiamo al mondo e alle situazioni di cui siamo protagonisti, attraverso lo sguardo dato dalla molteplicità dei gruppi cui apparteniamo.
È domenica mattina, siamo dei cattolici praticanti e stiamo assistendo a una funzione religiosa. Secondo gli attributi della categoria “cattolici” e del contesto in cui ci troviamo (chiesa/funzione religiosa), i tratti costituenti l’identità sociale saliente in quel momento ci inducono ad essere introspettivi, reverenti e raccolti in preghiera. In quell’ambito ci intratteniamo in discorsi che contemplano la tolleranza, la pietà, l’essere caritatevoli. Dopo qualche ora, abbiamo un appuntamento allo stadio con degli amici per assistere alla partita di calcio della nostra squadra del cuore. Ecco che diviene saliente un’altra identità sociale, caratterizzata dagli attribuiti della categoria “tifoso” e dal contesto “stadio di calcio/partita”. A quel punto quella persona solenne, gentile e interiorizzata che eravamo, si trasforma in un satanasso esaltato che urla, sbraita e inveisce contro gli avversari e dietro alle sorti di un pallone su un campo da calcio. Finita la partita rientriamo in famiglia e in questo nuovo contesto ecco che vestiamo una nuova identità sociale, quella di “padre” dove, anche qui, abbiamo attributi e regole condivise da rispettare. Ad esempio misurare parole e gesti, esigere dai figli il rispetto di un grado di disciplina (es. nello studiare, nel modo dello stare a tavola, nel riordinare i propri spazi, etc.), trovare del tempo da dedicare all’ascolto o alla condivisione di particolari momenti, supportare la figura materna per assecondare una strategia educativa coerente, etc., etc., etc.
Alla base di tutti questi meccanismi c’è un processo profondo, radicale e inconsapevole.
Identità e nascita della leadership
Nell’adesione ai gruppi le persone trovano dunque, risposte, coordinate, informazioni che filtrano attraverso il continuo confronto delle proprie idee con quelle degli altri, così da trasformarle in evidenze, fatti sociali intorno ai quali organizzare la propria esistenza. In questo gioco dunque, l’influenza che gli altri esercitano su di noi e il consenso che noi ricerchiamo negli altri, si pongono alla base della costruzione identitaria. Tuttavia influenza e consenso sono al tempo stesso, gli strumenti sui quali poggia la leadership [2] ed è significativo osservare da vicino come questa nasce e si afferma.
Quando un membro del gruppo inizia a incarnare i tratti caratteristici dell’identità condivisa del gruppo diviene naturalmente “attrattivo” per gli altri membri del gruppo, che iniziano a conformarsi più facilmente alle sue posizioni, idee, indicazioni, adeguando anche i propri comportamenti. Questi è come se si trasformasse nell’esemplare più caratteristico del gruppo o nel prototipo umano da prendere come misura di riferimento per valutare il proprio grado di appartenenza o adeguatezza. In una squadra di calcio ad esempio, avviene per quei giocatori che non solo sono bravi ma che ne perseguono il bene al di sopra di ogni cosa. Quelli che le sono fedeli, coloro che ne proteggono i valori e ne rispettano i colori lottando ogni volta fino allo stremo.
Quando questa caratteristica, viene reiterata nel tempo, ne consolida la visibilità, il prestigio e lo status all’interno del gruppo.
A questo punto ci sono due variabili concomitanti che concorrono a cementarne la posizione.
La prima riguarda gli altri membri prototipici, quelli cioè che incarnano ugualmente, anche se a un grado minore del leader, i tratti dell’identità condivisa del gruppo e che per questo sono considerati, a loro volta, esemplari dagli altri membri. Nell’esempio della squadra di calcio, ci riferiamo a quei giocatori che parimenti si mettono a sua disposizione e lottano anche allo stremo per essa. Questi ultimi nell’adottare, difendere valori, idee, pratiche e comportamenti caratterizzanti il gruppo, implicitamente non faranno altro che rinvigorirne l’identità rafforzando così, anche senza volerlo, il grado di prototipicità “del” o “della” leader che di quell’identità è “il massimo” o “la massima” rappresentante.
Il secondo aspetto invece ha a che fare con la distintività (in quanto prototipo) “del” o “della” leader, da cui deriva la sua maggiore capacità di influenzare il gruppo e che negli altri membri verrà percepita come carisma. Le persone, per quello che in psicologia viene chiamato “errore fondamentale di attribuzione”, non comprendendo la natura reale di questo potere di influenza, tenderanno ad attribuirlo alla natura stessa del leader mentre, come spiegato, è per lo più dipendente dalle caratteristiche proprie dell’identità condivisa di cui egli diventa alter ego. Proviamo a spiegarci meglio guardando da vicino quello che avviene nelle leadership politiche odierne, segnate da una veloce ascesa con altrettanto repentino declino e di cui si trovano esempi eccellenti sparsi tra i partiti di ogni Paese. Accomunati dal protagonismo ingombrante della propria personalità, emergono in una fase di declino del partito o del precedente leader, facendosi interpreti di una rivendicazione identitaria dell’elettorato che spesso chiede il ritorno alle proprie origini, che nessun’altro nel partito riesce più a intercettare. Loro si ancorano a quei valori, li riaffermano e scalano velocemente il partito, affascinando opinionisti ed elettori che li descrivono come carismatici, rivoluzionari e via dicendo. Dopodiché questi nel pieno del proprio consenso, da leader, iniziano a governare e immancabilmente a tradire con i fatti, azioni, comportamenti quella stessa identità di cui a parole si erano riempiti la bocca. Il risultato è il loro tracollo immediato e vertiginoso con al seguito tutti quelli che ne lodavano l’autorevolezza, il carisma e che l’attimo dopo rinnegano perfino di averli mai conosciuti.
Questo non significa che le caratteristiche della personalità dei leader non siano importanti, tutt’altro, ma, come già scrivevamo, nella misura in cui gli permettono di farsi paladino dei valori e realizzatore degli scopi propri di quell’identità.
Nel prossimo articolo vedremo, attraverso alcuni esempi pratici, la nascita di una leadership e toccheremo con mano come questa nasca proprio nel momento in cui chi guida gruppi smette di cercarla e di preoccuparsene [3].
Note:
[1] Come approfondimento riguardo al ruolo insoddisfacente di una costruzione culturale, si legga uno dei nostri lavori “Il punto di svolta: dall’Empirico al Metafisico”, Mandolini R., Youcanprint, 2017;
[2] Haslam A.S., Reicher S.D., Platow M.J. (2013). Psicologia del leader - Identità, influenza e potere. Il Mulino.
[3] Su questi temi si legga, Haslam A. S. (2016). Psicologia delle organizzazioni. APOGEO.
Mandolini R. (2021). Project Management. Fondamenti Psicosociologici di Leadership e Comunicazione nella gestione dei gruppi di Lavoro. Nuove Risposte A Vecchi Quesiti. Youcanprint, 2021;
Letture consigliate:
Harkins P., Swift P. (2013). In cerca di leadership. Che cosa ha reso grandi i grandi leader. FrancoAngeli.