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  • Romina Mandolini

La comunicazione e i suoi fondamenti

Aggiornamento: 30 dic 2021

Comprendere cosa significa comunicare, significa capire cosa vuole dire essere umani e il valore che l'altro riveste per la nostra autoderminazione di individui. Chiunque è alla guida di gruppi non può esimersi dal conoscerne gli aspetti fondanti e il ruolo che questi svolgono quando si ragiona in termini di efficacia dei nostri atti comunicativi.


Persone che stanno parlando, ascoltando e trasmettendo messaggi.

Quando si decide di attraversare un territorio estremamente articolato ed esteso, come è quello della comunicazione su cui hanno scritto esploratori di innumerevoli discipline, è importante chiarire il quadro teorico dentro il quale ci si colloca. Linguistico, neurologico, sociologico, cognitivo, filosofico, antropologico, semiotico, semantico, retorico, etc., etc.? Chiarito quest’ultimo che nel nostro caso e almeno per ora sarà quello sociologico, bisogna comprendere quali conoscenze prendere a riferimento, tra le tante disponibili, in virtù ovviamente delle connessioni con gli altri temi che stiamo trattando in questo sito, quali la leadership e la conseguente, gestione dei gruppi.


Iniziamo da un esempio, pensiamo all’argomento “persuasione” per cui in molti ambiti professionali c’è una specie di ossessione a conoscerne tutti i segreti. Secondo quanto descritto in molti manuali dai titoli reboanti, questa appare come un atto per lo più unidirezionale grazie al quale il mittente del messaggio, attraverso determinate tecniche, cerca di produrre nel destinatario del messaggio alcuni esiti da lui predeterminati.


Secondo questa rappresentazione, acquisisce una grande importanza la modalità strategica di confezionamento del messaggio e l’intenzionalità del mittente di voler provocare determinati effetti. Quanto invece al destinatario, in moltissimi casi, sembra rivesta un ruolo passivo se, come alcuni manuali assicurano, è possibile attraverso l’utilizzo di certe “tecniche” ottenere risultati certi e in alcuni casi, strabilianti. Inoltre il processo di trasmissione delle informazioni è lineare e i ruoli, mittente da una parte destinatario dall’altra, sono ben definiti e distinti. Il primo, difatti, codifica il messaggio dal significato compiuto che invia al destinatario tramite un “canale” (es. la linea telefonica), il quale non deve far altro che riceverlo, comprenderlo e fornire un feedback che nel caso specifico ha a che fare con il cambio di atteggiamento verso qualcosa. Riguardo la comprensione del messaggio, da parte di quest’ultimo, svolgono un ruolo importante eventuali “disturbi” (es. rumori sulla linea) che possono accadere durante la trasmissione o la ricezione del messaggio e poc’anzi abbiamo detto, anche le tecniche di confezionamento del messaggio.


Per testare la validità di questa rappresentazione del processo comunicativo che per intenderci rientra nei primissimi modelli sociologici sulla comunicazione – si pensi al modello “postale” o “telegrafico” di Shannon e Weaver (1949) – immaginiamoci adesso davanti al televisore e più precisamente, davanti alla pubblicità di una famosa organizzazione non governativa che ci chiede di contribuire con una donazione, alla causa della “fame nel mondo” che in Africa uccide ancora troppi bambini. Conosciamo tutti la forza e drammaticità delle immagini che solitamente caratterizzano questi spot. Queste campagne comunicative non hanno tanto il fine di sensibilizzarci sull’argomento, quanto piuttosto quello di persuaderci a offrire dei soldi. La forza del messaggio è affidata alle immagini shock sulla sofferenza dei bambini, eppure contrariamente alle aspettative di chi ha confezionato e commissionato lo spot, l’esibizione ostentata di quel dolore con lo scopo di raccogliere soldi spinge alcuni verso comportamenti opposti a quelli che si volevano ottenere. Nel migliore dei casi, il rifiuto di contribuire alla raccolta perché vi appare evidente l’uso strumentale di quelle immagini. Nel caso peggiore, il rafforzamento di un pregiudizio pernicioso quale è quello dell’assistenzialismo endemico dell’occidente verso quelle popolazioni che, stando così le cose, non faranno mai nulla di concreto per uscire da quella condizione.


Ecco che questo esempio, da solo, smonta alcuni assunti fondamentali della rappresentazione precedente. Il mittente ha confezionato un messaggio con un certo intento e un certo significato, tuttavia chi lo ha ricevuto, in alcuni casi, ne ha dedotto un altro di segno addirittura opposto. Il destinatario dunque, riguardo la significazione di un messaggio, svolge un ruolo tutt’altro che passivo ma per comprendere meglio questo aspetto, dobbiamo fare un ulteriore passo in avanti.


Abbandoniamo il tema persuasione e immaginiamoci all’interno di una vera e propria situazione comunicativa. Siamo in un’assemblea di condominio e l’amministratore sta illustrando una modifica del regolamento condominiale: “Non si lasciano oggetti personali negli spazi comuni e la seconda macchina deve essere parcheggiata fuori dal cortile condominiale”.


Vedete, apparentemente sembriamo tornati di nuovo alla rappresentazione precedente. Mittente da una parte (l’amministratore), destinatari da un’altra parte (i condòmini), trasmissione lineare del messaggio dal primo ai secondi. Consapevolezza, da parte dell’amministratore, di dire quello che sta comunicando al punto che il messaggio della comunicazione, è dotato già di senso compiuto. I condòmini infatti, non debbono far altro che prenderne atto.


Eppure guardando più da vicino quella situazione, le cose sono un poco più complicate di così. Ecco una condòmina che chiede parola, non ha capito che cosa s’intende per “oggetti personali”, due piante di fiori di sua proprietà messe ai lati del portone per abbellire l’entrata, rientrano in questo divieto? Un altro condòmino le parla sopra per ribadire che se il divieto riguarda la seconda automobile vuole dire che insieme alla prima macchina, la motocicletta dello stesso condòmino può essere parcheggiata all’interno! Non fa in tempo a finire la frase che il suo vicino di pianerottolo esplode verso l’amministratore chiedendo di esplicitare il divieto, in maniera più chiara e inclusiva. “Non solo le seconde autovetture ma anche ciclomotori di ogni cilindrata che fanno riferimento agli stessi condòmini debbono essere vietati, poiché occupano spazi comuni adibiti ad altri fini e rendono la mobilità all’interno degli spazi condominiali meno sicura”. Nel frattempo un’altra persona che ha preso parola, si scaglia contro la platea dicendo che lui sa bene chi ha costretto l’amministratore a rendere palese il divieto di lasciare oggetti personali negli spazi condominiali. Ammette di aver due bambine e di aver lasciato le loro biciclette nell’androne del palazzo qualche volta ma, rivolgendosi direttamente a un condòmino specifico, gli urla contro che “tutti sappiamo che è il tuo cane a fare i propri bisogni negli spazi comuni e ad abbaiare continuamente anche nelle ore notturne. Sono stato tollerante finora ma visto che qui oggi si parla di comportamenti scorretti, chiedo all’amministratore di mettere a verbale nuove regole anche per i proprietari di animali e per essere più chiaro, sappiate che la prossima volta che sento abbaiare il cane di notte chiamo i carabinieri”. Fermiamoci qui. Cosa sarà costretto a fare l’amministratore davanti a tutte queste obiezioni? Nel riprendere parola cercherà di spiegarsi meglio con la condòmina riguardo le piante, cui effettivamente non aveva pensato, prevedendo così nel regolamento alcune eccezioni. Dopodiché risponderà al secondo condòmino ammettendo di essersi espresso male poiché il divieto riguarderebbe entrambe le categorie: autovetture e motoveicoli. Infine cercherà di dirimere le convinzioni infondate del condòmino e i presunti pettegolezzi al riguardo, poiché il divieto di lasciare oggetti personali negli spazi comuni è stato introdotto come regola di civiltà in quanto il vecchio regolamento era carente in tal senso. Accogliendo però a quel punto la volontà di disciplinare il comportamento anche degli animali domestici e le responsabilità dei loro proprietari.


Cosa è successo all’inziale messaggio comunicato dall’amministratore a tutti i partecipanti? Parimenti a quanto abbiamo visto accadere nel precedente esempio, sulla scia delle interpretazioni e suggerimenti forniti dagli altri partecipanti coinvolti nella situazione comunicativa, il suo significato è stato completamente rielaborato. Andando a esplicitare meglio aspetti che prima erano stati dati per scontati, chiarendo quelli che avevano dato adito a fraintendimenti, ampliandolo con altri elementi cui non si era pensato.


L’evidenza della co-costruzione del senso di un messaggio è forse uno dei più grandi lasciti di quei modelli della comunicazione, più recenti, che in sociologia sono stati chiamati “costruttivistici” e per essere più espliciti, i modelli Ipertestuale, Orchestrale e Situazionale.


La strada che ha condotto a questi ultimi è stata lunga e costellata di innumerevoli riflessioni cui hanno contribuito moltissimi ricercatori, uno su tutti l’antropologo Gregory Bateson. Non abbiamo però modo di rendere conto in questo contesto di questi sviluppi e rimandiamo per questo il loro approfondimento sui testi forniti in bibliografia.


Tuttavia al centro di questi modelli si situa una riflessione importante sulla modalità di significazione di un messaggio, il quale non è più considerata una causa ma, come abbiamo dimostrato poco fa, l’effetto dell’atto comunicativo stesso. La volontà di comunicare qualcosa, prende avvio certamente da un soggetto particolare ma il senso che quest’atto veicolerà si costituisce, definisce, amplia o restringe semanticamente, grazie a tutti gli apporti degli innumerevoli attori coinvolti in quella stessa comunicazione.


In ogni situazione in cui ci interessa farci comprendere, siamo obbligati a passare attraverso il confronto con l’altro che sotto questo punto di vista, è assolutamente interrelato e interconnesso. Difatti, nell’accezione più alta, comunicare non significa persuadere l’altro, né trasmettergli delle informazioni, ma la condivisione di un qualcosa (esperienze, idee, emozioni, conoscenze, aspirazioni, immaginazioni, etc.) che nel caratterizzarci intimamente, hanno bisogno di essere elaborate dagli altri per essere capite. Gli altri sono una specie di specchio, sul quale ci vediamo riflessi e nel rifletterci conosciamo meglio che cosa pensiamo, sentiamo, desideriamo. Esprimiamo a parole un concetto, un pensiero, un’esperienza, etc. perché abbiamo bisogno di comprenderli e dedurne dei significati. Inoltre, quando condividiamo questo materiale soggettivo con altre persone, cosa che avviene nelle nostre interazioni comunicative, possiamo, nello sforzo che ciascuno fa di mettersi nei panni dell’altro, individuare una interpretazione condivisa della realtà che ci permette di comprenderci e organizzare la nostra vita sociale e culturale in maniera proficua, di là dai differenti punti di vista.


La vitalità del pensiero umano, la sua capacità di innovazione poggia esattamente su questa premessa di cui l’atto comunicativo è lo strumento. In questo senso, il senso del messaggio non è il motore della comunicazione ma il risultato finale. Lo stesso emittente è una figura convenzionale, poiché emittenti e destinatari svolgono ruoli paritari e interscambiabili. Quello che difatti in prima battuta era il mittente, come è accaduto a quell’amministratore poco fa, l’attimo dopo diviene il destinatario della comunicazione. Parimenti non esiste linearità tra idee e parole utilizzate, perché non sempre le persone quando comunicano hanno chiaro quello che stanno per dire, né esiste linearità ma circolarità quando si parla di trasmissione delle informazioni poiché tutti gli attori coinvolti nella situazione, riorganizzano il proprio comunicare su una serie di feedback che ricevono dall’altro, come abbiamo visto fare poco fa nell’assemblea condominiale, riorganizzando le proprie rappresentazioni e le conseguenti risposte.


Altro aspetto da confutare riguarda la convinzione che la comunicazione sia sempre un atto volontario, al contrario molti degli elementi che vi partecipano (gestualità, posture, simboli sociali, etc.) sono introdotti e tradotti dagli attori, spesso senza vera consapevolezza al punto che in alcuni casi, perfino il silenzio diventa pregno di significati.


Per gli argomenti che in questo sito andiamo trattando, che cosa possiamo dedurre da tutto quanto abbiamo detto finora?



Letture consigliate:

Gili G., Colombo F. (2012). Comunicazione, cultura, società. Ed. La Scuola.

Lalli P. (2001). Linguaggio e processi comunicativi. Area Ricerca Scientifica e Rapp. Comunitari, “Università della Calabria”

Mandolini R. (2021). Project Management. Fondamenti psicosociologici di leadership e comunicazione nella gestione dei gruppi di lavoro. Nuove risposte a vecchi quesiti. Youcanprint


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